COVID19 e qualità dell’aria

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Le misure attuate da molti paesi europei per fermare la diffusione di CoViD-19 hanno portato a forti riduzioni del trasporto su strada in molte città e delle attività produttive. Per valutare in che modo ciò ha influito sulle concentrazioni di inquinamento atmosferico, l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) ha sviluppato un visualizzatore che traccia le concentrazioni medie settimanali di biossido di azoto (NO2) e particolato (PM10 e PM2.5).

I dati mostrano come le concentrazioni di biossido di azoto (NO2), un inquinante emesso principalmente dal trasporto su strada, sono diminuite in molte città europee dove sono state implementate misure di blocco.

Sebbene ci si potesse aspettare una diminuzione delle concentrazioni di polveri sottili (PM2,5), non è ancora possibile osservare una riduzione consistente nelle città europee. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che le principali fonti di questo inquinante sono più varie, tra cui a livello europeo il riscaldamento di edifici residenziali, commerciali e istituzionali, attività industriali e traffico stradale. Una frazione significativa di particolato si forma anche nell’atmosfera dalle reazioni di altri inquinanti atmosferici, compresa l’ammoniaca, un inquinante tipicamente emesso dall’applicazione di fertilizzanti agricoli in questo periodo dell’anno.

Nelle seguenti tabelle possiamo osservare le conseguenze delle misure di blocco in alcune città della Toscana. I dati mostrano la concentrazione di NO2 (sulla sinistra) e di PM10 (sulla destra) tra i mesi di gennaio ed aprile, mettendo a confronto 2019 e 2020.

Fonte: www.snpambiente.it

Fonte: www.snpambiente.it

Fonte: www.snpambiente.it

Fonte: www.snpambiente.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di seguito invece una tabella specifica sui dati di Prato e Pistoia.

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Fonte: www.arpat.toscana.it

 

Ma è possibile associare l’inquinamento atmosferico e il COVID-19?

Per dare delle risposte alle numerose ipotesi emerse su questo possibile legame, tema dibattuto a livello mondiale, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) con il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) hanno avviato uno studio epidemiologico a livello nazionale per valutare se e in che misura i livelli di inquinamento atmosferico siano associati agli effetti sanitari dell’epidemia.

L’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di infezioni delle basse vie respiratorie, particolarmente in soggetti vulnerabili, quali anziani e persone con patologie pregresse, condizioni che caratterizzano anche l’epidemia di COVID-19. Le ipotesi più accreditate indicano che un incremento nei livelli di PM rende il sistema respiratorio più suscettibile all’infezione e alle complicazioni della malattia da coronavirus. Su questi temi occorre uno sforzo di ricerca congiunto inter-istituzionale.

Lo studio delle possibili connessioni tra l’epidemia di COVID-19 e l’esposizione a inquinanti atmosferici, richiede approcci metodologici basati sull’integrazione di diverse discipline: l’epidemiologia ambientale e l’epidemiologia delle malattie trasmissibili, la tossicologia, la virologia, l’immunologia, al fianco di competenze chimico-fisiche, metereologiche e relative al monitoraggio ambientale.

Nel realizzare lo studio, si terrà quindi conto del fatto che la diffusione di nuovi casi segue le modalità del contagio virale e quindi si muove principalmente per focolai (cluster) all’interno della popolazione e si seguiranno approcci e metodi epidemiologici per lo studio degli effetti dell’inquinamento atmosferico in riferimento alle esposizioni sia acute (a breve termine) che croniche (a lungo termine), con la possibilità di controllo dei fattori socio-demografici e socio-economici associati al contagio, all’esposizione a inquinamento atmosferico, all’insorgenza di sintomi e gravità degli effetti riscontrati tra i casi di COVID-19.